Introduzione storica delle Officine Meccaniche Stanga

Introduzione storica

Appunti per una storia del Fondo del Consiglio di fabbrica della Officina meccanica della Stanga

 

La fabbrica

L’Officina meccanica della Stanga nasce a Milano, il 20 gennaio 1920, come società del gruppo della Società Veneta per la Costruzione ed Esercizio di Ferrovie Secondarie Italiane; il suo campo d’azione riguarda l’industria metallurgica e la carpenteria metallica.

L’azienda viene impiantata in via Turazza a Padova utilizzando lo stabilimento di un’officina della Società Veneta.

Nei primi dieci anni di vita la Società incrementa continuamente il suo giro d’affari partendo con la riparazione di materiale ferroviario, ampliando la sua attività alla progettazione di veicoli per il trasporto urbano e realizzando i primi carri refrigeranti d’Italia.

La crisi economica che investe gli stati Uniti e l’Europa nel 1929 tocca solo marginalmente l’O.M.S. che vede la sua attività solo in leggera flessione; questo forse grazie alla tipologia repubblicana dei suoi committenti e poi, negli anni ‛30, grazie alla continua ricerca di scelte tecniche innovative che portano la Stanga ai primi posti, riuscendo a brevettare accorgimenti utilizzati anche fuori della realtà italiana.

E’ nel corso di questi anni, infatti, che l’ingegnere Urbinati Mario brevetta nell’Officina padovana il sistema d’articolazione delle casse per i rotabili. Questo dispositivo, noto quindi come “giostra Urbinati”, è applicato ai tram di produzione Stanga, denominati ufficialmente “TAS” (Treni Articolati Stanga), i cui prototipi vedono la luce rispettivamente nel 1938 e 1941.

Da questo momento le Officine Meccaniche della Stanga, anche se non mancano iniziative come i piccoli filobus Fiat 668F, rotabili per ferrovie secondarie ed anche la revisione delle caldaie delle locomotive a vapore, si specializzano nella realizzazione di rotabili articolati.

Con il fascismo (fine anni ‘30, inizio anni ‘40) la Stanga lavora a pieno ritmo anche se la scelta autarchica la priva del necessario rifornimento di materie prime e la guerra miete vittime tra gli operai mandati al fronte.

La produzione continua, le commesse di guerra ci sono ma i duri ritmi di lavoro, il cibo scarseggiante, la militarizzazione del posto di lavoro e la presa di coscienza degli operai fanno diventare la Stanga un avamposto della lotta antifascista. Nonostante il bombardamento dello stabilimento nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, come afferma il periodico “Il Lavoratore” del 1.12.1943, “lottano coloro che tagliano i fili telefonici, sabotano le automobili, asportano i cartelli indicatori, danno indicazioni sbagliate. Lottano i ferrovieri che sabotano i trasporti, gli operai che sabotano le macchine e la produzione destinata ai tedeschi, i contadini che sottraggono i prodotti all’ammasso, non pagano le imposte, riforniscono i partigiani. Lottano gli impiegati e i funzionari che intralciano il disbrigo delle pratiche e sabotano i servizi”[1].

Nella seconda metà del 1945 e nel 1946, con la nomina a nuovo Commissario della Stanga di Giuseppe Porta, “gli operai tentarono in ogni maniera di rimettere l’azienda in condizione di produrre e di riprendere l’attività. Essi, come durante la guerra, difesero la fabbrica, consapevoli che, nella loro condizione, le O.M.S. erano tutto ciò che rimanesse e potesse dare loro da vivere. Inoltre in questo primo periodo c’era la convinzione di poter decidere sul futuro dell’azienda, di governare davvero la fabbrica. Il C.I. innanzitutto si preoccupò di recuperare i dirigenti dell’azienda: il direttore D’Arcais, l’ingegnere Giovanni De Fraia, il perito Gazzoli”.[2]

Con il 1945 comincia una grande espansione dello stabilimento, della produzione e degli utili e nel 1947 l’azienda occupa 72.000 mq.

Per tutti gli anni ‛50 l’azienda si sviluppa in innovazione, capitale ed occupazione (nel 1950 arriva a 915 unità). Tuttavia, già con la fine degli anni ‛50 ci sono i primi segni d’incertezza: nel 1957 la Direzione dell’O.M.S. annuncia alla Commissione Interna e ai lavoratori la decisione di licenziare 250 operai per riorganizzare e rilanciare l’azienda; l’anno successivo, dopo uno sciopero durato trentasette giorni senza giungere a nessun accordo, ottanta operai firmano le dimissioni volontarie.

I bassi guadagni continuano per tutti gli anni ‛60 ed il livello occupazionale non risale a causa del calo delle commesse da parte delle Ferrovie dello Stato. La situazione migliora solo verso il finire degli anni ‛60: in quegli anni, la Stanga vive il suo trasferimento in Corso Stati Uniti, un’area dove poter organizzare in modo moderno ed efficiente la produzione.

Il vecchio stabilimento di via Turazza, infatti, era cresciuto sedimentandosi nei decenni, adattandosi alla produzione e ai ritmi di tecnologie ormai superate; inoltre, era stretto tra la ferrovia e via Venezia.

Nel 1968, inizia quindi il trasferimento in corso Stati Uniti con il reparto costruzioni. Il trasferimento dura tre anni e nel 1971 l’azienda può contare su 180.000 mq di cui 80.000 coperti. L’ampliamento però non ottiene i risultati sperati dato che dal ‛69 l’azienda entra in una profonda crisi che coincide con una perdita di 4,5 miliardi di lire durante gli anni che vanno dal 1969 al 1973, perdite parzialmente addebitabili all’aumento del costo del lavoro e alle spese per il nuovo stabilimento. Si tenta una riorganizzazione dell’azienda, il completamento della vendita del vecchio stabilimento di via Turazza ed aumenti di capitale.

Questo porta nel 1974 al primo bilancio con un utile anche se gli anni ‛70 continuano con alti e bassi.

All’inizio degli anni ‛80 l’azienda entra a far parte del consorzio Firema Consortium e della finanziaria Firema Engineering con le Officine Meccaniche di Cittadella, le Officine Fiore a Caserta, le Officine Meccaniche Casertane e le Officine di Casaralta a Bologna (l’incorporazione in un’unica Società, comprendente anche altre aziende, avviene solamente nel 1993) e dal 1983 incomincia ad aumentare gli utili e ad avere commesse continue che però si bloccano nel 1986, data nella quale le Ferrovie dello Stato decidono di non affidare altri lavori alle Officine Meccaniche Stanga.

La vita di questa grande industria, piena di paradossi e di difficoltà, finisce con la sua chiusura definitiva avvenuta nel 2003.

 

…e il Consiglio di Fabbrica

Il Consiglio di fabbrica è un organo formato da rappresentanti dei lavoratori dipendenti all’interno delle aziende italiane con il compito di rappresentare, appunto, e tutelare gli interessi dei lavoratori di un’unità produttiva (fabbrica, azienda o stabilimento).

Esso è composto quindi da delegati eletti da tutti i lavoratori, iscritti o meno ai sindacati, dell’unità produttiva stessa.

Teorizzati da A. Gramsci, sorgono in un primo tempo alla Fiat e in poche altre grandi industrie settentrionali nel 1919, ma esauriscono presto la loro carica di entusiasmo

(biennio rosso).

Tra il 1968 ed il 1970, l’affermazione dell’innovazione sindacale, e la rapida ascesa della sindacalizzazione, furono facilitate e regolate da un significativo intervento pubblico: lo Statuto dei lavoratori (1970), che prevede l’istituzione di un Consiglio di fabbrica (o Consiglio dei delegati) in sostituzione, nelle imprese industriali di maggiori dimensioni, delle precedenti “Commissioni interne”.[3]

Una variabile significativa, oltre al numero di rappresentanti presenti nel C.d.F., è il legame di esso con il sindacato: i Consigli che mantengono rapporti relativamente stretti con l’organizzazione esterna sono anche quelli più attivi e, viceversa, tra gli altri la vita organizzativa è meno dinamica. Dunque, si può concludere che al di là di fattori obiettivamente condizionanti come le dimensioni d’impresa e l’atteggiamento dell’azienda molto dipende dall’orientamento dei rappresentanti, dalla loro soggettiva disponibilità all’impegno sindacale e dal sostegno che intendono ricevere.[4]

Riguardo le modalità con cui la rappresentanza informa i lavoratori del suo operato, le assemblee sono il canale principale ma altrettanto importanti sono i contatti diretti faccia a faccia e la forma scritta (comunicati, volantini…).

Nel corso degli anni ‛70, il C.d.F. interviene molto spesso nell’ambito della contrattazione collettiva, cioè per gli accordi tra sindacati e singole imprese sugli aspetti non regolati dai Contratti collettivi nazionali, ma tra le altre azioni svolte si trovano il tesseramento dei nuovi iscritti, l’informare i lavoratori sull’attività del Consiglio di fabbrica, l’organizzazione di mobilitazioni e l’assistenza ai lavoratori per problemi individuali anche di carattere non sindacale (Irpef, casa, malattie, problemi familiari e personali…).

Il suo ruolo, tuttavia, va man mano diminuendo nel corso degli anni ‛80 a causa del declino del modello di produzione basato sulle grandi imprese industriali, delle difficoltà provocate dai contrasti fra i sindacati e della crisi occupazionale.

[1]

[2] Cfr. Naccarato A., Le lotte operaie alle Officine meccaniche della Stanga dalla resistenza agli anni cinquanta, Padova, Csel, Annale n.2/1988, pp.31.

[3] Cfr. Cella G.P., Il sindacato, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 41-48.

[4] Cfr. Castegnaro A., Tra impresa e sindacato: ricerca sulla rappresentanza sindacale nella piccola azienda, Verona, Cierre edizioni, 1987, pp. 27-34.